- Mar 11, 2021
Vino, sostenibilità e cambiamenti climatici
I wine lovers sono avvisati. Se non saranno adottate scelte improntate alla sostenibilità lungo tutta la filiera, c’è il rischio che il ciclo produttivo del vino sia stravolto, tanto nel tempo quanto nello spazio. Tutta colpa del riscaldamento globale, che sta costringendo l’industria enologica ad adottare misure decisive per contrastare i cambiamenti climatici o adattarsi a essi.
Capita infatti che alcune aree geografiche un tempo fredde stiano ora diventando adatte alla produzione di vino. Qualche esempio? L'Inghilterra ha visto una rapida crescita dei vigneti lungo la sua costa meridionale e ha iniziato a produrre spumanti sempre più ricercati. Incredibile ma vero, sono stati piantati vigneti anche in Belgio, Danimarca, Norvegia e Svezia. Nell'emisfero meridionale, invece, i produttori di vino, specie in Argentina e in Cile, si stanno spingendo a un ritmo sempre più spedito fino alla Patagonia. Avanti di questo passo, potremmo ritrovarci a non vedere più la regione di Bordeaux produrre cabernet sauvignon e merlot o la Champagne produrre pinot nero e chardonnay. Di qui la necessità di intraprendere politiche sempre più “green” per evitare quello che si presenta come un disastro annunciato.
Poco importa se questo si traduce in un aumento dei prezzi. Secondo uno studio del 2019 condotto da Wine Intelligence, circa il 76% della Generazione Z, l'89% dei Millennials, il 78% della Generazione X e il 57% dei Baby Boomers sarebbero disposti a spendere di più per un vino prodotto in modo sostenibile. Il che vuol dire innanzitutto rinunciare ai pesticidi, che causano danni a breve e lungo termine su ambiente, persone, insetti e animali, ma anche incentivare iniziative biologiche e biodinamiche o ricorrere a imballaggi più ecologici e a linee di produzione a energia solare.
I programmi di sostenibilità, tuttavia, devono essere necessariamente diversi a seconda dei climi, che sono in grado di generare a loro volta diversi parassiti e malattie. Ad esempio, l'Alto Adige, nel Nord Italia, ha le caratteristiche di un terroir ideale per un vino privo di sostanze chimiche. Lì un anno fa è stata approvata all'unanimità dal locale Consorzio vinicolo un’Agenda di Sostenibilità con l'obiettivo, entro il 2030, non solo di eliminare i prodotti chimici, ma anche di favorire la biodiversità nei vigneti e ridurre le emissioni di carbonio della produzione grazie all’utilizzo di energia verde.
Molto più difficile è immaginare di fare lo stesso a New York, che vanta quattro grandi regioni vinicole - i Finger Lakes, il fiume Hudson, Long Island e il Lago Erie -, tutte con climi diversi e, quindi, con diversi gradi di difficoltà in termini di rivoluzione “green”.
Non va meglio a Bordeaux, dove il clima mite e umido dell'Atlantico attira parassiti e malattie. Nel 2016, tuttavia, il Bordeaux Wine Council ha iniziato a sborsare circa $ 486.000 all'anno per la ricerca sulla riduzione dei pesticidi e, in soli due anni, il numero di produttori certificati biologici della zona è aumentato del 29%.
Il vino sostenibile è meno dannoso per l'ambiente. Su questo non ci piove. E non si tratta solo di una questione di produzione. Mentre la vinificazione può avvenire in maniera iper-eco-consapevole, l'imbottigliamento e la spedizione, al contrario, possono danneggiare il pianeta.
Proprio per questo vanno diffondendosi sempre più le cosiddette “eco-cantine”, che si pongono l'obiettivo di raggiungere una sostenibilità a 360°, non soltanto a livello architettonico e strutturale. Al pari di quelle tradizionali, anche queste strutture hanno bisogno di macchinari appositi per la produzione del vino e di dispositivi in grado di garantire il microclima costante in fase di conservazione. La differenza risiede nell'utilizzo di risorse rinnovabili: la luce del sole, la forza del vento, il calore naturale della terra. In altre parole, il fotovoltaico, l'eolico e la geotermia.
Quando queste fonti energetiche non sono sufficienti a soddisfare il fabbisogno dell'azienda vinicola, entra in gioco la combustione a biomasse, queste ultime ricavate direttamente dagli scarti delle vigne.
Per quanto riguarda il mantenimento del microclima, invece, si agisce con l’architettura vera e propria sfruttando, nel caso siano esistenti, o realizzando ex novo strutture ipogee o parzialmente interrate. Anche gli scarti di sughero possono essere utilizzati, nel rispetto del principio del riuso e del risparmio, per ricavarne materiale isolante da applicare alle pareti.
Rimane poi il problema dello spreco di acqua. Ne sono necessari, infatti, ben 14 litri per produrne uno solo di vino, utilizzati, oltre che per il mantenimento delle viti, anche per i numerosi lavaggi in fase di preparazione del mosto. Ne consegue che, a conti fatti, per trasformare 20 quintali di uva in vino vengono immessi nell'ambiente 60 litri di acque reflue.
Per superare questo ostacolo si dovrebbe realizzare un efficiente sistema di accumulo e ricircolo della risorsa idrica. Alternative tecnologicamente più avanzate, ma ugualmente perseguibili, sono la realizzazione di laghetti artificiali o l’installazione di piante adatte alla fitodepurazione. Questi accorgimenti sono in grado di ridurre il consumo di acqua di una percentuale pari a quasi il 50%. Se si dovesse optare anche per la soluzione della micro-irrigazione, inoltre, questa percentuale potrebbe continuare a salire.
Molti produttori sostenibili, infine, stanno compiendo uno sforzo ulteriore sperimentando imballaggi alternativi, poiché la produzione di vetro comporta un elevato dispendio energetico. Lattine, fusti e simili sono più leggeri da spedire rispetto alle bottiglie e, spesso, riutilizzabili. Ecco quindi che il futuro sarà appannaggio del vino alla spina, tanto più se serve a salvare il pianeta.